Spiegare la crisi
Era la seconda settimana dall’inizio della pandemia, prima del lockdown in Lombardia, prima che tutta l’Italia divenisse zona rossa. Stavo lavorando come producer per una tv straniera e faticavo a spiegare ai colleghi d’oltremare la comunicazione del nostro governo e delle altre istituzioni che chiudevano le scuole e poi invitavano ad andare a prendere gli aperitivi, che chiudevano i bar dalle 18 ma non i ristoranti. Anche perché facevo fatica a capirla anch’io.
È allora che un mio amico posta su facebook un piano per la preparazione alla pandemia postato sul sito del Ministero della salute del 2010. Mi sembra un documento affascinante, ci sono alcune tappe che abbiamo vissuto e altre che avrebbero dovuto essere applicate, dalla chiusura dei voli con zone dove è in atto una pandemia alla contingentizzazione degli antivirali, dei presidi medici, alla protezione degli ospedali e dei sanitari.
Il piano nazionale di preparazione alla pandemia c’era ma vecchio di 10 anni
Il mio amico ha lavorato per un periodo per la Regione Toscana e mi spiega che dieci anni fa usciti dalla Sars, dall’Aviaria c’era un lavoro importante della pubblica amministrazione sui piani antipandemia, che però se non vengono rinnovati, se non si fanno simulazioni, se non se ne oliano i vari passaggi, se non c’è un responsabile in ogni gradino delle istituzioni – Ministero della salute, protezione civile, regioni, dipartimenti sanitari locali – è come non averli. Si è fatto il compitino per l’OMS, l’organizzazione mondiale della sanità che aveva giustamente spinto per un piano anti pandemia dopo la Sars, parente del coronavirus.
Molte regioni avevano allora fatto dei propri piani per un’eventuale pandemia perché questo richiedeva il piano nazionale e questo raccomandava l’OMS.
In rete se ne trovano di piani regionali. Alcuni hanno previsto un comitato regionale per la pandemia con nomi e cognomi, come quello Siciliano, altri come quello veneto si accompagnano a risorse economiche (27 milioni di euro nel 2007 ).
Perché parlare di piani in emergenza?
Quando proposi il pezzo sui piani antipandemici, il giornale con cui collaboro mi disse «ma con l’emergenza in atto non ti sembra un po’ fuori luogo parlare di piani?». Ed è un peccato perché si trovano delle cose interessantissime nei piani che sono utili soprattutto ai cittadini per capire. Ad esempio in quello lombardo aggiornato al 2013 (uno dei più recenti) si trova quella che è diventata – almeno dal 27 febbraio – la modalità di gestione dei tamponi «Si conferma che non vi è la necessità, ai fini della diagnosi e cura del soggetto che presenta un quadro clinico ad andamento benigno, di addivenire alla identificazione virale; pertanto l’esecuzione del tampone faringeo è riservata esclusivamente ai casi che presentano un quadro clinico impegnato e tale da richiedere il ricovero in ospedale».
Si trova la necessità di provvedere allo stoccaggio di dispositivi individuali di protezione e c’è una lista delle case di cura e residenze psichiatriche individuate come luoghi specialmente a rischio.
Insomma c’è tutto quello che stiamo vivendo perfino una raccomandazione di noi stessi del passato a noi stessi oggi. Si trova in una pubblicazione dell’AST di Brescia del 2008 dal titolo “Pandemia influenzale e sanità pubblica”. Scrive il dottor Carmelo Scarcella attenzione al «Il pericolo della “Sindrome del Piano d’Emergenza”, ovvero il senso illusorio di sicurezza che può sorgere dall’avere un piano, che però non risulta funzionale in situazione di crisi in mancanza di un’adeguata formazione specifica e della messa in pratica dello stesso».
Un piano globale anti pandemia
Non solo andando a fondo si trova che tutti gli esperti di epidemiologia e le organizzazioni internazionali che si occupano di salute pubblica si aspettavano una pandemia.
Dopo l’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale del 2014, altro virus che è passato dall’animale all’uomo, che ha colpito oltre 28 mila persone in 10 Paesi, nel 2018, è nato il Global Preparedness Monitoring Board, un ente indipendente composto da scienziati e personalità politiche con il compito di analizzare il livello di preparazione dei Paesi in vista di una possibile pandemia.
Il report uscito lo scorso settembre aveva già evidenziato come il mondo non fosse pronto a rispondere a una minaccia del genere. Solo l’introduzione fa venire la pelle d’oca: «Esiste una minaccia molto reale di una pandemia altamente letale e che si muove rapidamente, di un patogeno respiratorio che potrebbe uccidere dai 50 agli 80 milioni di persone e spazzare via il 5% dell’economia mondiale. Una pandemia globale di questo livello sarebbe catastrofica, creerebbe instabilità e insicurezza. Il mondo non è preparato». Proprio per questo gli esperti invitavano i Paesi e le istituzioni a «garantire investimenti adeguati nello sviluppo di vaccini e terapie innovative, e aumentare la capacità di produzione di antivirali ad ampio spettro». Questo nel settembre 2019, tre mesi prima dell’allarme del Covid-19 in Cina.
photocredit © Sara Minelli
I piani regionali contro la pandemia trovati in rete da Covid News Italia
Regione Lombardia (Aggiornamento 2009 e 2013 ASL di Brescia)
Regione Toscana (specifica per A/H1N1v)
Un pensiero su “L’Italia ha un piano contro la pandemia vecchio di dieci anni”