Lo Sgabuzzino
In uno sgabuzzino, un bagnetto, dell’Ospedale di Civitanova Marche sta visivamente tutta la tragedia che in molte parti d’Italia si sta vivendo. Ci sono sacchetti neri sigillati, ognuno con il nome di una persona morta a causa del coronavirus, lì dentro ci sono gli effetti personali, tutta la vita di una persona in un sacchetto di plastica nero. Molte cose non si possono restituire ai parenti, quello che si può recuperare sono al massimo la fede e il portafoglio. «E’ dura – racconta Marcello Evangelista infermiere rianimatore e delegato Uil Flp – vedere il continuo ricambio dei letti per via di tutte le persone che perdiamo. E’ dura vedere come abbiamo dovuto trasformare una rianimazione da 5 letti a una da 13 infilando le persone ovunque. In tutti gli spazi possibili con ciabatte volanti per attaccarci i respiratori. Non è dignitoso».
Parola d’ordine : non fare allarmismo
L’ospedale nel maceratese è diventato ospedale Covid da un momento all’altro due settimane fa quando la marea dei malati ha iniziato a montare. «Fin dall’inizio c’è stata molta disorganizzazione – racconta Marcello Evangelista – Non eravamo pronti, non avevamo abbastanza posti in rianimazione, non avevamo respiratori. Eppure quando tempo prima avevo alzato la voce con la dirigenza perché la cosa ci stava sfuggendo di mano mi avevano dato dell’allarmista. Mi dicevano “Marcello non ti preoccupare qui nel maceratese non lo vedremo proprio il coronavirus” e invece altro che se l’abbiamo visto. E il fatto che ci siano tanti colleghi ammalati vuol dire che qualcosa non ha funzionato».
Le Marche sono poi diventate una delle regioni più colpite con 3558 malati e 417 morti (al 29 marzo). Eppure a inizio marzo ci raccontano che quando gli operatori sanitari del pronto soccorso e della medicina generale avevano iniziato ad indossare mascherine chirurgiche tutto il tempo la direzione ha iniziato a richiamare personale minacciando provvedimenti perché “allarmavano i pazienti e i familiari”. «Si stiamo raccogliendo queste segnalazioni – dice Evangelista – c’erano dirigenti che andavano per reparti a dire agli infermieri di togliersi la mascherina. Qualcuno non ha capito nulla di quello che stava succedendo e la cosa grave è che non è che chi non ha capito faceva il calzolaio. Chi non l’ha capito era un dirigente della sanità pubblica».
Operatori sanitari a rischio
Tutt’ora le mascherine sono una merce rara «Noi dovremmo fare turni di 10 11 ore con una mascherina a turno ffp2 o ffp3 che garantisce un filtraggio adeguato per 4 o 5 ore. Non abbiamo neanche i calzari a volte dobbiamo usare sacchi della spazzatura. Ma qui non si capisce che se ci ammaliamo noi è un grosso problema perché contagiamo i colleghi e i pazienti diventiamo noi causa di diffusione del virus. Senza contare che per alcuni ruoli, come quelli in rianimazione, siamo difficilmente rimpiazzabili».
Intanto per ora si continua a non fare tamponi estensivi ai sanitari nonostante le promesse del presidente della regione Cerisoli di qualche settimana fa. «Lo fanno ai calciatori – continua amaro Evangelista – e non a noi». Dal 27 marzo un accordo con il governo di CGIL CISL e UIL ha stabilito la necessità di «effettuare in maniera sistematica tamponi per la diagnosi precoce dell’infezione a carico degli operatori sanitari » ma ancora non si vede un cambiamento in questo senso.
Medici di base allo sbando
Sul territorio la situazione non sembra migliore. Un dottore di famiglia che chiede di essere anonimo descrive un vero collasso del sistema di igiene pubblica, della sorveglianza attiva.
«Io ho iniziato a comprare saturometro e mascherine a gennaio quando l’epidemia era in corso Cina. Ma qui fino a che non è scoppiato non si è fatto nulla». A inizio marzo il tampone veniva fatto unicamente a chi sapeva di aver avuto contatti stretti con soggetti positivi «A fine febbraio a Milano c’è stato il Micam (dal 16 al 19 febbraio ndr.) una mostra per i produttori di scarpe e le marche sono una zona calzaturiera il contagio è arrivato in gran parte così».
Suo marito è un medico ospedaliero ammalato di virus ma lei secondo la direzione sanitaria lei deve continuare a lavorare «Io riesco perché mi sono premunita prima, ma l’azienda sanitaria ci ha dato 5 mascherine chirurgiche un paio di settimane fa e poi 3 chirugiche e 2 ffp3 facendoci capire che devono bastarci».
Su cento segnalati hanno fatto il tampone in 3 o 4 e ora non ci sono più tamponi
Che cosa ha visto sul territorio? «All’inizio noi medici di base potevamo segnalare all’Igiene pubblica sospetti covid solo se avevano avuto contatti con positivi e venivi ripreso se segnalavi troppo perché facevi perdere tempo». Solo successivamente hanno iniziato a prendere segnalazioni come sospetti positivi anche di persone che avevano febbre da più giorni che nonostante gli antibiotici non miglioravano e i contatti con positivi non erano più determinanti. «Fatto sta che i tamponi sono finiti e io ho gente segnalata dal 18 di marzo a cui ancora non è stato fatto il tampone. Ho una famiglia di 7 persone tutte ammalate a cui il tampone è stato fatto solo al nonno perché è stato ricoverato con problemi respiratori».
La dottoressa conferma che sembra esserci un rallentamento anche nelle Marche ma il ritardo è grave per qualsiasi indagine epidemiologica. «Io ho segnalato circa 100 pazienti come possibili covid avranno fatto il tampone a tre o quattro di loro». Questo vuol dire che non solo sfuggono molti positivi ma non viene neanche fatta l’indagine epidemiologica sui loro contatti.
Se non arriva la notifica di quarantena ai lavoratori ammalati
«Mio marito – spiega il medico – ha avuto il risultato di positività lunedì scorso del tampone e ancora i miei figli non hanno ricevuto la notifica di quarantena».
Non solo, la la notifica di quarantena è necessaria per fare i certificati di a chi lavora. «Ho un’infermiera che si è ammalata in una casa di cura ma non le è arrivata ancora la notifica da lunedì scorso. E’ a casa con un certificato di un altro tipo, ma non è possibile. Un altro paziente è in quarantena per contatto e nel frattempo si è ammalato ho segnalato che si è ammalato e non ha ricevuto per ora il tampone. Ora gli scade la quarantena e che posso fare gli faccio un certificato per febbre e tosse?».
«Siamo stati abbandonati noi e i nostri pazienti – conclude la dottoressa – ci hanno sbloccato il Plaquenil (Idrossiclorochina farmaco antimalarico) come farmaco precoce. Ma il Plaquenil va dato alle prime linee di febbre se io non ho l’ufficialità che è covid non posso somministrarlo».
La burocrazia che blocca tutto, una vergogna, è da 2 settimane che abbiamo dato la disponibilità per cucire mascherine chirurgiche, (che solitamente vengono importate da non so dove) ma devono essere certificate, certo, sono daccordo facciamole a norma, ma non possono chiedere ad un azienda, di fare dei test a sue spese, pagare una cifra esorbitante per poter avviare la produzione straordinaria di un bene attualmente indispensabile a salvare la vita delle persone, dateci i tessuti dateci le linee guida che siano uguali per tutti e andiamo avanti!!!! Nel mio piccolo avrei potuto produrre almeno 600 mascherine a giorno, che sono un goccia nel mare, ma attualmente stanno tenendo il rubinetto chiuso, tutto a causa della burocrazia.