Inauguriamo una rubrica di commenti di amici giornalisti (e non solo) che stanno lavorando sull’emergenza covid senza fermarsi alle prime spiegazioni date dalla politica. Massimo Alberti della redazione di Radio Popolare sta raccogliendo storie e dati sul lavoro nelle aziende e sui numeri di vario tipo: contagiati, deceduti, ricoverati, tamponi, e su come vengono dati dalle istituzioni. Questo il suo ultimo – e primo per noi – status.
C’è un rallentamento e, fin qui, siamo d’accordo.
«Ma è inutile continuare a fare analisi sulla punta dell’iceberg quando ancora non conosciamo quello che sta sotto» dice questa mattina a Radio Popolare Mirko Tassinari, segretario dei medici di base di Bergamo.
Del resto, a falsare il ragionamento di questi giorni è un serpente che si morde la coda: il tampone.
Dice Gallera, assessore alla Sanità della Lombardia «lo facciamo solo agli ospedalizzati, che sono in calo. Quindi calano gli ospedalizzati, calano i tamponi, calano i contagiati».
Facile no?
Ma gli ordini dei medici, a Bergamo, come a Brescia e finanche a Milano, ci spiegano che sì, è vero, gli accessi ai Pronto Soccorso sono crollati, ma solo perché sono spariti i codici verdi e bianchi, che spontaneamente rinunciano ad andare in ospedale.
I codici gialli vengono mandati a casa o non vengono direttamente presi, come raccontano le testimonianze che abbiamo raccolto.
E pur a fronte di una situazione leggermente più sostenibile a Milano città, i codici rossi continuano ad essere saturi, spiega il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano Roberto Carlo Rossi.
Intanto si pone il problema dei guariti, sbandierati come un trofeo, ma che medici e sindaci sul territorio raccontano che possono diventare un ulteriore problema, perché spesso non vengono adeguatamente testati prima di tornare in comunità, e mancano le strutture per accoglierli per il periodo necessario.
Ai tamponi sui potenziali contagiati, dunque, si aggiunge la necessità di tamponi sui potenziali guariti.
Fontana aveva detto che i tamponi sarebbero aumentati. Ma in 5 giorni sono più che dimezzati.
Intanto, i bravi colleghi dell’Eco Di Bergamo hanno ultimato un lavoro encomiabile di raccolta dati da cui il numero dei morti risulta essere oltre il doppio di quello ufficiale.
«Quello che i numeri ufficiali non dicono. Non dicono che a marzo 2020 in provincia di Bergamo sono morte oltre 5.400 persone, di cui circa 4.500 riconducibili al coronavirus. Sei volte rispetto a un anno fa. Di sole 2.060, i decessi “ufficiali” certificati «Covid-19» avvenuti negli ospedali bergamaschi (dato aggiornato a ieri), conosciamo tutto: età, sesso, malattie pregresse . Nulla sappiamo degli altri 2.500. Molti sono anziani, morti nel letto di casa propria o nelle residenze sanitarie assistite. Nonostante i sintomi inequivocabili, come riportano le testimonianze di medici e famigliari, non sono stati sottoposti a tampone per accertare la positività alla malattia. Sul certificato di morte si legge solo “polmonite interstiziale”».
Massimo Alberti
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