Le saracinesche dei piccoli commercianti devono restare chiuse ma non l’impianto siderurgico più grande d’Europa. Nel silenzio spettrale della città, ormai vuota, la notizia della nuova decisione del prefetto di tenere aperta l’ex Ilva nonostante i rischi di contagio, ha scatenato l’indignazione dei cittadini di Taranto riversata sui social media. Sono centinaia i commenti al post su Facebook dell’associazione “Giustizia per Taranto” che recita: «Siamo, come sempre, in regime di extraterritorialità, territorio extra legem». Si legge questo senso di abbandono da parte dello Stato italiano, accusato di proteggere gli interessi di una multinazionale invece della salute dei suoi cittadini.
Riprende la vendita dell’acciaio per l’Arcelor Mittal
Il prefetto di Taranto Demetrio Martino non ha infatti prorogato il decreto (sempre della prefettura) dello scorso 26 marzo che bloccava fino al 3 aprile la produzione dello stabilimento siderurgico ai fini commerciali mantenendo comunque l’impiego di 5.500 dipendenti (3.500 diretti e 2000 dell’indotto). Anzi, ha fatto di più: con il nuovo decreto, Arcelor Mittal può tornare a vendere l’acciaio prodotto perché altrimenti, come spiega lo stesso Prefetto, l’azienda “non potrebbe pagare i fornitori e le aziende dell’indotto” e questo porterebbe alla crisi dell’impianto stesso.
Col nuovo decreto il prefetto riflette le richieste dell’Ad di Arcelor Mittal Lucia Morselli che, in una lettera al premier Conte nei giorni precedenti, non aveva escluso la chiusura dell’area a caldo e la cassa integrazione per tutti i lavoratori nel caso di una proroga.
I sindacati avevano chiesto di mettere tutta la fabbrica in regime di “minimo tecnico”, con gli impianti presidiati dalle da circa 1.500 operai..
Il sindaco di Taranto : un rischio troppo grande, parli Emiliano
«Stiamo consegnando un rischio troppo grande ad una intera città, mi sembra la solita ingiusta eccezione rispetto alla direzione intrapresa dal Paese» ha commentato il sindaco Rinaldo Melucci. Ha inoltre richiesto l’intervento del Presidente della Regione Michele Emiliano, che ad oggi non si è espresso sulla vicenda che va avanti da settimane.
Melucci, lo scorso 27 febbraio aveva espressamente chiesto con un’ordinanza del comune “le procedure di fermata di Altiforni, Cokerie, Agglomerazione e Acciaierie” entro i sessanta giorni. Un’ordinanza alla quale non si è fatta attendere la risposta della multinazionale dell’acciaio che ha fatto subito ricorso al TAR di Lecce. Nelle 38 pagine del documento di Arcelor Mittal si cita l’AIA (l’Autorizzazione Integrata Ambientale) come strumento legale di riferimento. Spetta al Ministero dell’Ambiente – dice l’azienda – e non al sindaco, chiedere al gestoredi sospendere le attività.
Difficile evitare gli assembramenti e poche mascherine
«Per forza di cose è difficile evitare gli assembramenti e da parte dell’azienda non c’è la volontà di spendere per le sanificazioni necessarie» racconta Alessandro D’Amone, rappresentante sindacale per USB. Per farsi un’idea, basti pensare che servirebbe sanificare con ditte specializzate ogni giorno un’area grande quanto il doppio della città di Taranto. Anche per quanto riguarda le mascherine, l’intervento di Arcelor Mittal sembra essere insufficiente: «Ci sono stati una serie di intoppi sulla distribuzione delle mascherine e comunque le scorte che arrivano sono sempre inferiori rispetto alla portata della fabbrica», continua D’Amone.
Sono 3 i contagiati da coronavirus all’Ilva
Al momento all’interno della fabbrica si registra un solo caso ufficiale di coronavirus: il lavoratore è ricoverato all’ospedale Moscati di Taranto. In realtà i contagi sono almeno tre, se si contano l’ingegnere della palazzina di qualità (di Matera) e un operaio dell’area ghisa (di Lizzano). Va detto che questi ultimi due non sono entrati nello stabilimento fino a poco prima del contagio. Ma un focolaio nella fabbrica non solo sarebbe insostenibile per la città – in cui c’è già un’altissima incidenza di malattie respiratorie e tumori al polmone – ma rappresenterebbe un ulteriore pericolo anche per l’intera regione, da cui provengono numerosi dipendenti.
In uno scontro che si preannuncia l’ennesima battaglia legale per scegliere tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute (anche ai tempi del coronavirus), i cittadini e le associazioni di Taranto si stanno organizzando: hanno lanciato una raccolta firme sul sito veraleaks.org per chiedere al sindaco di intervenire immediatamente per fermare il contagio e chiudere gli impianti inquinanti come previsto dalla legge 152/2006 Testo Unico Ambientale.
Alessia Melchiorre