In una città come Roma dove già di per se’ l’emergenza per i senza fissa dimora è alta, nemmeno la pandemia da COVID-19 ha cambiato il rapporto delle istituzioni con i migranti esclusi dai sistemi di accoglienza.
Non sono serviti i DPCM, l’ingente spiegamento di forze dell’ordine per i controlli e le sanzioni, gli inviti alla responsabilità, le molteplici analisi dei dati, gli inviti dell’OMS: tutto è rimasto uguale e chi era costretto a stare in strada prima, lo è anche adesso.
La città di Roma, durante questa emergenza sanitaria, paga l’eredità di anni di assenza di politiche strutturali di accoglienza per i migranti e, in senso più ampio, la mancanza di un “piano casa”.
Negli ultimi anni abbiamo visto sgomberi di occupazioni, di insediamenti informali, soluzioni alternative temporanee e male organizzate, chiusura di centri di accoglienza comunali sotto la pressione di sedicenti “comitati di quartiere” infiltrati da estremisti di destra.
Questo approccio continuativo, basato sempre su una dicotomia “noi”-”loro”, “i cittadini” vs “i migranti”, “le istituzioni” vs “gli occupanti”, ha contribuito ad acuire le difficoltà nella gestione di questa situazione. Ora, anche davanti agli occhi dei più intransigenti difensori della legalità tout-court, è evidente come i destini di tutte le persone presenti sul territorio di questa città, sia naturalmente correlato. Per contrastare le possibilità di contagio, è necessario dare un tetto a chi non ce l’ha; riconoscere i diritti fondamentali a tutti – come quello alla salute – rafforza quelli di chi già li ha.
Ad onor del vero, le responsabilità di questa situazione non sono in capo solamente alle amministrazioni locali (Municipi, Campidoglio e Regione).
I recenti interventi normativi redatti in ambito nazionale, i cosiddetti “Decreti sicurezza”, hanno di fatto aumentato il numero di persone rimaste senza dimora e senza tutele, restringendo l’accesso al sistema di accoglienza e ai percorsi di inclusione per richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria, già difficilmente attuati in precedenza vista l’incapacità del sistema di fornire le misure necessarie a livello socio-sanitario.
Cosa fare, le nostre raccomandazioni
E’ essenziale in questo momento identificare i diversi piani in cui è necessario un intervento, sia per contrastare l’attuale pandemia da COVID-19, sia per imparare dagli errori fin qui fatti e dimostrare lungimiranza politica. Le criticità evidenti nella città di Roma riguardano:
- Insufficienza dei posti per persone senza dimora nel circuito cittadino:
Appare evidente come il circuito cittadino soddisβi solo una porzione delle esigenze di accoglienza in città, come dimostrano i numeri di un piano freddo che era già insufficiente prima dell’emergenza sanitaria in atto. Dagli ultimi dati disponibili,infatti, sono solo 5 i centri (con 477 posti) accessibili a chi non ha un alloggio,mentre secondo le stime aggiornate al 2018 della comunità di Sant’Egidio, sono circa 8.000 le persone senza fissa dimora presenti a Roma. E sono state 7.657 lepersone che si sono rivolte allo Sportello Unico dell’Ufficio immigrazione di Roma Capitale per presentare richiesta di accoglienza tra luglio 2017 e ottobre 2019, a conferma dell’inadeguatezza sempre più marcata dell’intero sistema. Tra questi,molti sono i titolari di protezione umanitaria, ora abrogata (1.742 casi), e sono circa 1.400 le persone senza documenti.
- Mancati accessi al sistema di accoglienza
Dal 9 marzo ad oggi, non è stato possibile per gli operatori legali chiedere l’accesso in accoglienza di migranti nel circuito cittadino o di richiedenti asilo e beneficiari diprotezione ai circuiti Cas e Siproimi, in quanto gli uffci competenti di Roma capitale,della Questura e della Prefettura, sono chiusi e non procedono agli inserimenti. Moltissime persone, pur avendo diritto a un posto in accoglienza, continuano a dormire per strada aumentando l’insieme dei senza fiissa dimora. Tra questi rischia di aumentare anche il numero delle donne migranti vittime di tratta e sfruttamento.
- Criticità nelle strutture di accoglienza
Si stanno moltiplicando nei centri di accoglienza straordinari e ordinari le denunce di ospiti e operatori circa la mancanza dei presidi sanitari necessari a garantire la tutela sanitaria all’interno delle strutture, anche in virtù dei numeri alti di presenze nei grandi centri e della difficoltà di attuare le misure di distanziamento sociale, oltre alla mancanza di indicazioni sanitarie e legali chiare da parte degli uffici centrali responsabili. Inoltre, le sanificazioni e gli altri interventi mirati a ridurre il rischio di contagio sono ancora minimi e procedono a rilento.
- Salvaguardia dell’attività di volontari e operatori
Per giorni e giorni, dall’entrata in vigore delle misure restrittive rivolte alla popolazione e delle limitazioni alla mobilità, è stato complicato proseguire con le attività di distribuzione pasti e supporto legale alle persone senza dimora, nonostante sia evidente la necessità di garantire tali servizi, a maggior ragione in un contesto emergenziale come l’attuale. Il 20 marzo un’ordinanza del Presidente della Regione Lazio è intervenuta per assicurare la mobilità dei volontari al fine dilegittimare i loro spostamenti per le attività ritenute necessarie, ai sensi dei vari DPCM adottati.Tuttavia, serve da parte delle istituzioni un maggiore supporto in relazione alla fornitura dei dispositivi sanitari necessari per operare in modalità sicure e protette rispetto ai rischi di contagio attivo e passivo.
La dimensione dell’esclusione e dell’emarginazione è da sempre preoccupante nella nostra città e, soprattutto in questo momento, necessita di una serie di interventi urgenti e coordinati, che sono colpevolmente ancora inesistenti nonostante la straordinaria emergenza e il numero elevato di appelli e raccomandazioni rimasti inascoltati, tranne piccoli esempi di buone prassi adottate da associazioni e realtà di quartiere. Le proposte sopra descritte sono solo una parte delle disposizioni che andrebbero attuate, a partire soprattutto dai percorsi tracciati dalle associazioni che fino ad ora sono state l’unico punto di riferimento delle persone senza una fissa dimora in un’ottica di prevenzione, informazione e tutela.
Pensare Migrante
(il presente articolo riprende parte della “lettera alle istituzioni” redatta e firmata da Pensare Migrante insieme a molte altre associazioni. La trovate qui)