Come mai ci servono le app per combattere il Covid19. Sarà Immuni quella giusta?

È notizia di due giorni fa l’ordinanza del commissario Domenico Arcuri per « procedere alla stipula del contratto di concessione gratuita della licenza d’uso sul software di contact tracing e di appalto di servizio gratuito con la società Bending Spoons Spa». Le app per la lotta alla diffusione del coronavirus sono una delle contromisure, non mediche, al centro del dibattito in tutto il mondo ed anche in Italia, dove comunque alcuni dei più importanti media nazionali hanno fatto un po’ di confusione utilizzando indistintamente i termini contact tracing e contact tracking.

Iniziamo specificando che sono due cose distinte: il contact tracing è la tracciatura dei contatti e quindi dei possibili contagi diretti ed è possibile tramite tecnologia bluetooth. Il tracking invece si riferisce agli outbreak, ovvero ai luoghi del contagio e ai focolai, rendendo possibile individuarli e ridurre le possibilità di contagio indiretto, per cui è necessaria la geolocalizzazione tramite GPS.

Tracciare i contatti è fondamentale per fermare il contagio

Perché è necessario tracciare i contatti dei contagi? Un caso positivo può essere pre-sintomatico, ovvero può essere già infettivo fino a 48 ore prima dell’inizio dei sintomi. Inoltre vari studi hanno riscontrato in pazienti asintomatici una carica virale analoga a quella presente in pazienti sintomatici. Quindi il contagio sia diretto che indiretto può avvenire potenzialmente da persone che in assenza di sintomi non sono soggetti a quarantena o isolamento.

Questa, ad esempio, è una fondamentale differenza tra questo coronavirus e quello della SARS, che aveva percentuali di letalità molto più alte, ma era contagioso soltanto all’insorgere dei sintomi, dunque più facile da contenere e controllare.

Proprio per questo si capisce che la rapida identificazione dei contatti di casi Covid 19, siano essi probabili o confermati, è essenziale al fine di identificare quanto più rapidamente quei casi secondari che possono insorgere ed interrompere così la catena dei contagi.

In alternativa alla tracciatura manuale, che richiede l’utilizzo di una grande quantità di personale, si stanno sviluppando in tutto il mondo sistemi tecnologici attraverso lo sviluppo di app per il contact tracing, basate su una tecnologia molto semplice e diffusa come il bluetooth. Ed è il caso della app di cui si sta parlando in questi giorni in Italia.

Immuni, la app italiana per il contact tracing via bluetooth

La app “Immuni” dovrebbe essere adottata inizialmente in alcune regioni pilota e poi nel resto del paese e l’installazione avverrà su base volontaria. Questo tipo di soluzione dovrebbe portare ad una più facile identificazione dei possibili contagi diretti.

La app terrà traccia dei contatti tra le persone, memorizzando un codice crittografato a garanzia del rispetto della privacy, quando due telefoni – e quindi i due proprietari – si avvicinano ad una distanza uguale o minore di un metro.

E qui si apre il primo dubbio perché le evidenze dimostrano che il contagio può avvenire anche a distanza maggiore di un metro (6 piedi, 1,8o mt). Inoltre non è chiaro ancora se tale app riuscirà a suddividere i contatti in due categorie, ad alto rischio o a basso rischio, in base alla durata del contatto ovvero al tempo in cui i due telefoni sono stati a contatto.

Una volta che un caso verrà diagnosticato come positivo, tutti i telefoni che sono stati a contatto con il telefono del caso positivo verranno avvisati del potenziale contagio, in tal modo si potranno attivare le specifiche procedure di sicurezza. Questo tipo di soluzione viene considerata efficace quando almeno il 60% della popolazione utilizza correttamente l’applicazione.

Usare la geolocalizzazione è così sbagliato?

Per un’efficacia ancora maggiore si dovrebbero però considerare le posizioni geografiche di trasmissione più diffusa, dunque ricorrendo a tecnologie GPS, con il grosso nodo del rispetto della privacy. Con la geolocalizzazione degli utenti della app la traccia dei contatti può contribuire a ridurre la trasmissione, identificando più rapidamente i focolai.

I casi di Cina, Singapore e Corea del Sud indicano che un’efficace tracciabilità dei contatti riduce il tempo dall’esordio dei sintomi all’isolamento e conseguentemente la probabilità di trasmissione in corso, favorendo appunto l’identificazione dei focolai.

Per i paesi che, come l’Italia, stanno applicando rigorose misure di quarantena estesa a tutta la popolazione, al fine di tentare di interrompere la catena di trasmissione del virus, le misure per la ricerca di casi incluso il tracciamento dei contatti sono una priorità, in una ipotetica fase 2, 

Sulla base di queste considerazioni si capisce quanto possa essere limitata una tecnologia che non utilizzi sistemi di geolocalizzazione, certamente a maggior tutela della privacy, ma che rischia di essere inefficace nella mappatura dei luoghi di contagio e nel contenimento di questa pandemia.

Prima di difendere un diritto alla privacy frequentemente violato in situazioni non di emergenza non dovremmo forse chiederci qual è il prezzo che potremmo pagare in termini di ritardo nel far ripartire l’economia nazionale, nel numero di contagi, ricoveri e vite umane?

Concludiamo la prima parte in attesa di informazioni utili per capire quale sarà la reale efficacia della app “Immuni”, scelta dal governo italiano dopo una selezione tra varie proposte. Una app di cui sappiamo ancora poco se non che è a codice sorgente aperto (requisito necessario nelle richieste del Ministero dell’Innovazione), che conterrà un diario clinico dell’utente, sarà disponibile a inizio maggio ed è messa gratuitamente a disposizione da un’azienda milanese che fino ad oggi aveva contribuito ad alleggerire la quarantena degli italiani con un paio di app per lo yoga ed il fitness.

Nella seconda parte di questa disamina dei metodi di tracciamento anti-covid (sabato prossimo) proveremo a comparare la app adottata dal nostro governo con alcune soluzioni sviluppate in altri paesi con attenzione a due soluzioni in particolare. La prima è Private Kit: Safe Paths, sviluppata dal Massachutes Institute of Technology (MIT) di Boston, http://safepaths.mit.edu. La seconda è Covid Watch, https://www.covid-watch.org sviluppata dall’Università di Stanford a Palo Alto in California. Entrambe queste soluzioni sono a codice sorgente aperto e volendo avrebbero potuto essere adottate dal nostro governo.

Tommaso Pucci
PhD in Telematica e Società dell’Informazione
Consulente Risk Management

Leggi anche Manco Black Mirror avrebbe pensato alle App per il tracing. 

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