Foto Sara Minelli

Lecce, all’Ospedale Vito Fazzi si chiudono i reparti

Si è festeggiato ieri l’altro il primo giorno con zero nuovi contagi in provincia di Lecce e viene da dire meno male. La provincia salentina è una delle meno colpite in Puglia, ma non sono mancati problemi molto gravi che hanno portato alla chiusura di due reparti di Medicina e di quello di Pneumologia nel più importante e unico ospedale di Lecce, il ‘Vito Fazzi’. 

Già dal 21 marzo al “Fazzi” era stato convertito il padiglione DEA (Dip. Emergenza e Accettazione), al centro di numerose polemiche per le ripetute inaugurazioni e la mancata apertura, in padiglione Covid. 

Il problema è che, nonostante ci fosse un padiglione dedicato, il virus è entrato prepotentemente al “Fazzi”. «Il pronto soccorso non sta funzionando dal filtro per distinguere i pazienti Covid da quelli con altre patologie. Quello che succede è che se a pazienti con i sintomi viene effettuato il tampone e risulta negativo, ci si accontenta di quella risposta invece di ripeterlo dopo 48 ore. Quindi questi arrivano tranquillamente in altri reparti».

Mancando DPI e il Pronto Soccorso non filtra

Questo quanto affermato da un operatore sanitario del “Fazzi” intervistato da Covid Italia News, l’operatore chiede di rimanere anonimo a causa della diffida a rilasciare informazioni imposta dal Direttore Generale a tutto il personale. La persona che intervistiamo apre la conversazione con grande voglia di parlare e di raccontare. Si sentono nella sua voce amarezza e una punta di rabbia dovute al periodo che sta vivendo e a tutto quello che sta avvenendo nella gestione dell’emergenza pandemica e di quelle che non esita a definire “cattive pratiche” in uso nell’ospedale di Lecce.

Come in tante parti d’Italia mancano i DPI «sono state fornite mascherine FFP2 che poi si è scoperto essere semplici mascherine chirurgiche (dopo la traduzione delle istruzioni dal cinese)». Oltretutto, racconta il nostro lavoratore, gli OSS, che molto spesso sono a stretto contatto con i pazienti per più di venti minuti, hanno solo le mascherine chirurgiche anche per trattare i pazienti potenziali Covid « Fanno mangiare il paziente a cui devono necessariamente togliere la mascherina e così l’operatore resta esposto anche ad eventuali colpi di tosse indossando solo banali mascherine chirurgiche. Come si a fa a spiegare queste cose ai sapientoni che sono dietro a una scrivania, a cominciare dall’ISS?».

Ai casi Covid che arrivano in Pronto soccorso si aggiungono i pazienti sintomatici che arrivano dalle RSA, che in Provincia di Lecce, come nel resto d’Italia, si sono trasformate in veri e propri focolai del virus molto spesso a causa di cattiva gestione o di abbandono da parte di chi dovrebbe gestire le strutture, come nel caso della RSA di Soleto dove i parenti degli anziani non hanno ad oggi la certezza sulle condizioni dei propri congiunti.

Si chiude un padiglione, si sanifica e si riparte da zero

Nico Lorusso dell’ufficio stampa e comunicazione della Regione Puglia, a cui CIN ha chiesto conto di quanto sta accadendo nel capoluogo salentino, risponde che per quanto riguarda il problema di ingressi di Covid non identificati al “Fazzi” «La letteratura internazionale evidenzia che ci sono pazienti che hanno un quadro TAC di polmonite interstiziale e una negatività al tampone nasale ma queste persone possono sviluppare nel tempo una positività al tampone, quindi fatti in seguito gli esami di laboratorio vengono immediatamente trattati come pazienti positivi. Questo è quello che è successo e sono cose che capitano. Una volta rilevati vengono immediatamente tolti dal reparto, si fa la sanificazione e si riparte da zero».

E così si è dovuto ripartire da zero in molti reparti del “Fazzi”, ma con il personale in quarantena e i pazienti non Covid smistati in altri reparti non specializzati nelle loro patologie. I sindacati a metà aprile hanno inviato una nota alla direzione generale esprimendo preoccupazioni per i protocolli di sicurezza dell’ospedale e per la salute dei lavoratori, dopo che alcuni pazienti ricoverati in diversi reparti dell’ospedale sono risultati positivi, per un totale di 9 pazienti tra Ginecologia, Pneumologia, Medicina 3 e Unità di Terapia Intensiva Coronarica. I sindacati denunciano che l’ospedale sta diventando esso stesso un focolaio « non ci spieghiamo – dicono – come mai il personale che viene destinato sia nell’U.O.C di Medicina sia in quella di Pneumologia, come nei reparti di Ostetricia e Nido, Utin, e tutte le aree di degenza, operi senza dispositivi di protezione e senza materiali disinfettanti sia a base alcolica sia quelli a base di ipoclorito di sodio che sono facilmente reperibili».

Non ci sono focolai, dice la Regione Puglia

«Non ci sono focolai – ci dice Lorusso – E’ chiaro che una pandemia di una malattia fino ad oggi sconosciuta, ci porta a ripensare i percorsi e a rivedere le regole seguite finora. Il focolaio è una cosa incontrollata, le chiusure dei reparti sono casi circoscritti e governati con le dovute regole di controllo». Lorusso assicura che la Regione Puglia si è attivata anche per acquistare in autonomia i DPI necessari dato che «la protezione civile all’inizio non li mandava in Puglia perché semplicemente avevano sbagliato i conti, loro mandavano le mascherine e i DPI non in base al bisogno del personale medico ma in base ai casi. Non considerando che un medico ha contatto con centinaia di persone, quindi non servono cento casi ne basta uno».

Ogni volta che chiudi un reparto è una sconfitta

Secondo l’operatore dell’ospedale, invece, chiudere un reparto è una sconfitta « La chiusura di un reparto dove si stavano migliorando processi assistenziali vuol dire distruggere tutto –  afferma –   significa minare la fiducia tra noi e i medici, tra noi e i dirigenti della task force».

E conclude «Vedere andare via 5 contagiati, con occhi pieni di paura e tutti i pazienti trasferiti è stata la un’esperienza che lascerà un segno in ognuno di noi. L’ultimo atto di spegnere le luci e chiudere il reparto ha generato un’amarezza profonda e tanta rabbia, ma pagheremo solo noi, contagiati dalla disperazione dell’anima e dalla paura di essere noi i vettori».

Mariangela De Blasi
Collettivo Emera

(photocredit Sara Minelli)

 

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